Siamo in Inghilterra, piena epoca vittoriana, in una società perbenista e conservatrice. Tra le donne di buona famiglia dilaga il disturbo dell’isteria: le fonti riportano che addirittura il 75% del genere femminile ne soffrisse in qualche fase della propria vita. Queste persone vivevano una forma di malessere psicologico connotato da insonnia, estremo nervosismo, irritabilità, sintomi somatici, e amnesia fino ad arrivare a deliri e allucinazioni. L’impatto a livello sociale è notevole e le richieste di cura portano i medici a sperimentare nuove cure per questo disturbo.
Secondo Ippocrate, medico vissuto ai tempi dell’Antica Grecia, l’isteria sembrava avere origine dallo spostamento dell’utero, considerato un corpo asciutto e vuoto che accumulava liquido, espulso ogni mese attraverso le mestruazioni. Per mantenere in equilibrio il proprio stato di salute, la donna avrebbe dunque avuto bisogno di orgasmi ricorrenti: in caso contrario, l’utero avrebbe perso stabilità nel corpo e si sarebbe spostato, provocando dolore e la cosiddetta “soffocazione isterica”.
Alcune di queste convinzioni si sono mantenute salde nonostante il progredire delle epoche e delle scoperte scientifiche, spingendo i medici dell’Ottocento a porre la propria attenzione sulla pratica del massaggio pelvico. Eseguito manualmente dal medico sulla clitoride della paziente, permetteva alle donne di raggiungere il parossismo isterico – definizione di orgasmo in epoca vittoriana – e di riacquistare calma e serenità attraverso la scarica energetica che lo seguiva. Si credeva fosse quello a placare i sintomi isterici delle pazienti. Quel particolare massaggio manuale praticato dai medici del tempo, definibile oggi come masturbazione, non veniva interpretato come un’attività sessuale poiché non vi era alcuna penetrazione e si credeva che le donne non provassero piacere attraverso tale stimolazione. Era perciò considerato una pratica scientifica puramente tecnica. La tradizione narra che, in seguito, sia stato sostituito dal primo vibratore elettrico, invenzione ideata proprio all’interno degli stessi studi medici, con lo scopo di rendere la terapia più rapida e meno faticosa per le mani dei dottori.
Questo è il mito che ci è stato tramandato nel tempo. Lo abbiamo visto nel noto film Hysteria (2011), letto sui libri e in decine di articoli accademici, ne hanno parlato serie TV e documentari, ed è stato persino rappresentato in uno spettacolo a Broadway.
La verità sulla nascita del vibratore è, però, molto diversa. In un articolo del 2018, apparso sul New York Times, Hallie Lieberman (storica del sesso e giornalista), dopo un’approfondita analisi del materiale pubblicato sul tema nel corso dei decenni, ci racconta come questa narrazione sia totalmente frutto di fantasia. Il mito può essere fatto risalire ad un libro di Rachel Maines, “Technology of Orgasm”, pubblicato nel 1999 e ricco di fonti ben documentate, che ha creato il nesso e la ferma convinzione che il primo vibratore fosse nato appositamente per curare l’isteria.
Non vi sono, però, evidenze storiche o scientifiche che confermino tale scopo originario. Se è vero che il vibratore è comparso per la prima volta in qualità di strumento medico, intorno al 1880, per opera dell’inglese Joseph Mortimer Granville, è necessario sottolineare che gli obiettivi erano totalmente diversi. Le prime fonti attendibili riportano, infatti, come il vibratore sia stato creato pensando, in realtà, al genere maschile e a differenti problematiche mediche: era studiato per alleviare dolori di natura ortopedica, dovuti a tensioni muscolari in diverse parti del corpo, e per guarire la sordità.
All’inizio del Novecento, è stato poi commercializzato come dispositivo domestico medicale, raccontato dalle pubblicità del tempo come oggetto miracoloso in grado di migliorare i segni della vecchiaia e curare persino la tubercolosi.
È solo negli anni Settanta del secolo scorso che il mondo femminile inizia a coglierne le potenzialità erotiche: quando la femminista statunitense Betty Dodson inizia a usare i vibratori come dispositivi sessuali nei suoi seminari sulla masturbazione, viene data ufficialmente una nuova veste a questo strumento vibrante.
Apparentemente, l’immagine del medico che cura le donne isteriche, sostituendo alla propria mano un apparecchio elettrico, potrebbe sembrare innocua. Ma così non è.
Il mito, infatti, porta con sé una serie di fantasie più o meno inconsce che, ancora oggi, rinforzano e indirizzano pensieri e vissuti delle donne riguardo alla propria sessualità. Gli stereotipi e le incomprensioni che ne derivano convincono le donne stesse di non essere consapevoli e “proprietarie” del proprio desiderio e sessualità, di essere soggetti passivi – e potenzialmente “malati” – la cui soddisfazione sessuale è necessaria perché curativa e dipende dalle capacità di chi “si prende cura di loro”.
Nell’Ottocento, le donne erano considerate più deboli e disposte alla malattia sul piano fisico ed emotivo rispetto agli uomini, e la maggior parte delle patologie di cui soffrivano veniva ricondotta a qualche forma di malfunzionamento mentale o degli organi genitali e dell’utero. Ancora negli anni Cinquanta del secolo scorso, la donna veniva tenuta lontana dalla vita politica e da cariche importanti (come quelle in magistratura), perché etichettata come “superficiale, emotiva, passionale, impulsiva”, così come soggetto che “tutto giudica dal lato sessuale”. Una sessualità, però, schiacciata e negata nel tempo, collegata alle sole finalità riproduttive e altrimenti giudicata come conseguenza di anomalie nel funzionamento.
Oggi, le fantasie, legate dapprima all’oggetto del vibratore e poi al suo utilizzo, sono ancora fortemente radicate nell’immaginario delle donne, al punto tale che, per molte, l’idea dell’autoerotismo spaventa, provoca vergogna, lascia perplesse, fa sentire sporche, fuori posto o inadeguate.
Tutto questo porta a negare una parte fondante del benessere femminile: la soddisfazione di un naturale bisogno umano, trasversale all’identità di genere o all’orientamento sessuale, biologico e psicologico, e orientato alla semplice (e quasi banale nella sua normalità) ricerca del piacere. Una ricerca che può avvenire, quando lo si desidera, anche attraverso l’utilizzo di un vibratore (o qualsiasi altro sex toy o accessorio sviluppato con finalità erotiche).
È dunque importante sfatare questo mito che portiamo inconsapevolmente ancora con noi: no, il vibratore non nasce per curare le donne, l’isteria o una qualsiasi loro patologia fisica o mentale, ma per rispondere a normali bisogni psico-fisiologici, emotivi e sessuali. A dirla tutta, dal 1980, la nevrosi isterica non è neanche più classificata come disturbo mentale psicopatologico. E sì, l’unica verità accettabile è che la ricerca del piacere è concessa in ogni sua forma e ha come unico limite il rispetto di sé e delle altre persone.
https://journals.openedition.org/genrehistoire/331#tocto1n1
https://www.nytimes.com/2020/01/23/opinion/vibrator-invention-myth.html
http://www.difederico-giustizia.it/2000/03/10/le-donne-magistrato-non-fanno-piu-paura/
https://www.rivistadipsichiatria.it/archivio/1461/articoli/16137/
L’autrice dell’articolo è la dott.ssa Federica Piacenza, Psicologa e specializzanda in Psicoterapia ad indirizzo Analitico Transazionale. Riceve in studio privato a Milano, offrendo percorsi di supporto psicologico a bambini, adolescenti e adulti, con un focus sulla genitorialità e sull’aiuto ai caregivers di pazienti fragili e in fase terminale.
Editor: dott.ssa Chiara Maggio